La stabilizzazione percutanea riallinea la colonna vertebrale, attenua la pressione sulle faccette articolari, distende i legamenti gialli che protrudono nel canale vertebrale, tende l’anulus fibroso che contiene il disco intervertebrale, ed apre il canale di coniugazione. Con ciò “allarga” il canale vertebrale. Questa cosa non è da poco conto, considerato che gran parte della patologia del rachide vertebrale lombare coinvolge la stabilità della colonna vertebrale.
Infatti, l’alterazione della stabilità vertebrale consegue ad una serie di eventi: la perdita di tono idrico e di consistenza del disco intersomatico, l’alterazione artrosica delle faccette articolari, la perdita dell’efficienza tensile e contentiva dei legamenti, l’ipertrofia del legamento giallo che sporge nel canale vertebrale. Questi eventi riflettono una perdita di efficienza della colonna vertebrale per il processo degenerativo o di invecchiamento fisiologico. I muscoli paravertebrali non solo perdono tono, anch’essi per la diminuita efficienza legata lall’età, ma si inseriscono su segmenti osteo-articolari instabili, e perciò suscettibili di ulteriore sofferenza. Questo si ripercuote sull’efficacia protettiva e contentiva dello “speco” vertebrale verso il contenuto nervoso.

Tra L1 ed L2 (le vertebre lombari, 5, vengono indicate con la lettera L maiuscola) termina il midollo spinale. Da qui si diramano le radici nervose che vanno verso gli arti inferiori. Esse sono contenute nel sacco durale ed escono a ciascun livello dal forame di coniugazione tra vertebre contigue. Quando le strutture intorno ad esse diventano troppo ingombranti esse sono costrette e si parla allora di stenosi.
Le strutture costrette funzionano male e le radici nervose non attivano i muscoli cui sono dirette con la prontezza e l’energia necessaria per il normale funzionamento delle gambe. Questo non vuol dire paralisi, ossia completo blocco delle gambe, di per se eccezionale, ma dolore e “claudicatio neurogena“. Si entra qui nel campo della stenosi vertebrale. L’individuo cammina per un pò ed è poi costretto a fermarsi.
L‘instabilità vertebrale s’intreccia cioè con la stenosi vertebrale. Nella maggioranza dei casi forma cioè un tutt’uno. Ecco perché la stabilizzazione vertebrale è efficace nel trattamento della stenosi.
La stabilizzazione vertebrale è sempre stata una delle alternative al trattamento della stenosi vertebrale, spesso con allargamento del canale vertebrale. In passato ciò si faceva on procedure “aperte” che alteravano marcatamente lì’anatomia delle strutture muscolo-scheletriche, predisponendo ad infezioni e complicazioni varie, tra cui ematomi e fistole. Senza contare che la distruzione muscolare e la cicatrizzazione incidevano negativamente sulla funzionalità della colonna sana. Le immagini in B e C rappresentano situazioni in cui, in rapporto al quadro clinico, potrebbe essere indicata una stabilizzazione.

La stabilizzazione percutanea (vedi il caso clinico), su cui qui ci focalizziamo, ha rappresentato un grosso passo avanti, poiché le viti e le barre passano attraverso i muscoli senza alterarli o distruggerli, vanno ad impiantarsi sulle vertebre “stabilizzandole” e bloccando i movimenti anomali che interferiscono con la funzionalità del tessuto nervoso. Riducono marcatamente o abolisco i segni della stenosi. Può comunque combinarsi con una decompressione ossea, anch’essa mininvasiva o con un’artrodesi intersomatica, nel quadro della cosiddetta stabilizzazione a 360 gradi.
Le complicanzza sono marcatamente ridotte e rientrano in un range di qualche punto percentuale. Il controllo radiografico intraoperatorio (o eventualmente la navigazione) ed il monitoraggio elettrofisiologico intraoperatorio con “allerta” in tempo reale di un possibile danno alle strutture nervose, rendolo la procedura sicura.
Un discorso a parte va fatto per la stabilizzazione percutanea nei casi di eventi traumatici o per le spondilolistesi con o senza spondilolisi su base costituzionale. Anche qui offre notevoli vantaggi, ma lo considereremo a parte.