La Neurochirurgia interviene chirurgicamente sulle malattie e sui traumi del sistema nervoso, della colonna vertebrale, su alcune alterazioni funzionali e sul dolore prodotto da alterazioni strutturali o funzionali del sistema nervoso. Si può trattare di traumi, tumori, patologie intervenute con l’età, emorragie, dolore da conflitto sui nervi, alterazioni da malfunzioni della circolazione liquorale (il liquido che riempie i vuoti delle strutture nervose, ma con un ruolo attivo), o di alterazioni del normale funzionamento del sistema nervoso.
Idealmente l’intervento del neurochirurgo deve essere delicato, rispettare le strutture aggredite e rimuovere definitivamente la lesione o correggere al meglio il difetto funzionale. Per questo si avvale di strumenti di indagine come ad esempio la TC e la Risonanza Magnetica, strumenti di stimolazione e di registrazione elettronica, strumenti visivi quali il microscopio operatorio, navigatori intraoperatori per ricostruzioni 3D ed un orientamento intra-operatorio millimetrico, strumenti per la visualizzazione e ricostruzione del circolo sanguigno, strumenti e materiali per la manipolazione delle strutture nervose ed adatti alla chiusura e riparazione di eventuali difetti, materiali emostatici, strumenti di ricostruzione del flusso e talora attività robotiche. Naturalmente è necessario conoscere bene l’anatomia e l’ambito in cui ci si muove. Per questo sono necessarie lunghe ore di training sul cadavere, in sala operatoria e di simulazioni in realtà virtuale.
Il radiologo, l’anestesista, il neurofisiologo, l’anatomo-patologo collaborano e supportano l’attività del neurochirurgo e naturalmente tutti gli attori della sala operatoria e del reparto sono di fondamentale importanza per l’attività chirurgica. I grandi progressi della Neurochirurgia a partire dagli anni ‘ 80 conseguono all’uso della angiografia digitale, TC, RM e della microchirurgia.
La Neurochirurgia si è sviluppata piuttosto tardivamente rispetto ad altre discipline chirurgiche, e solo dopo l’introduzione dei principi di asepsi e la scoperta delle aree corticali specifiche per determinate funzioni (linguaggio, motilità etc.). Infatti il sintomo clinico “suggeriva” al neurochirurgo la sede della lesione ed indicava i limiti del trattamento, in modo da non danneggiare le aree funzionalmente importanti. L’italiano Durante (1844 -1934) è stato il primo a rimuovere un tumore intracranico, nello specifico un meningioma, tumore benigno.
La moderna neurochirurgia nasce con H.W. Cushing (1869-1939) e W. Dandy (1886-1946) in USA ed H. Olivecrona (1891-1980) in Svezia. Cushing inventò e descrisse numerose tecniche chirurgiche; individuò e classificò (con Bailey ed Eisenhardt) molte delle lesioni del sistema nervoso; sviluppò con Bovie un apparecchio per il controllo del sanguinamento intraoperatorio (emostasi per elettrocoagulazione).
Dandy fu un allievo di Cushing, e ne replicò i risultati, a volte migliorandoli, benché spesso in disaccordo col Maestro. Inventò il primo metodo per lo studio del danno cerebrale: la ventricolografia. L’iniezione di aria nei ventricoli, li rendeva visibili con un comune apparecchio radiologico, rilevando la sede della lesione sulla base della loro deformazione e spostamento rispetto alla linea mediana.
Olivecrona (1891-1980) si distinse nel trattamento delle malformazioni vascolari, lasciando un ricordo indelebile per le sue capacità tecniche ed organizzative. Molti Neurochirurghi europei ed italiani si sono formati alla sua Scuola.
Negli anni 20 il portoghese E. Moniz inventò l’angiografia per la visualizzazione radiologica delle arterie cerebrali, opacizzate con l’iniezione di liquido iodato. Serve per la visualizzazione delle lesioni proprie dei vasi (es. aneurisma) e rivela, per il loro spostamento rispetto alla posizione normale, eventuali lesioni (la figura esemplifica l’evoluzione dell’angiografia nel corso degli ultimi 40 anni).
Si è poi sviluppata la neurochirurgia funzionale, che mira alla correzione di funzioni alterate. Il pioniere è stato W. Penfield in Canada, che ha ideato la chirurgia dell’epilessia, e ha verificato in vivo la funzionalità delle aree critiche, come quelle del linguaggio o della motilità. Contemporaneamente E. Moniz ideava la Psicochirurgia per il trattamento di gravi disturbi psichiatrici. La stereotassia è nata negli USA con E.A. Spiegel e H.T. Wycis e serve per la localizzazione accurata, mediante coordinate matematiche, di qualsiasi punto del cervello. Essa consentiva tra l’altro di distruggere a scopo terapeutico le strutture cerebrali profonde implicate nei disordini motori, come nel morbo di Parkinson.
La moderna Neurochirurgia comincia negli anni 60 con l’uso del microscopio operatorio, perfezionato e diffuso G. Yasargil in Svizzera. L’invenzione negli anni settanta della tomografia assiale computerizzata (TC) e successivamente della risonanza magnetica (RM), aumentava notevolmente le possibilità diagnostiche e terapeutiche, consentendo di vedere la lesione nei suoi rapporti prima dell’intervento. Oggigiorno è possibile “illuminare” le aree cerebrali attive, mentre sistemi computerizzati (neuronavigatori) mappano la via del chirurgo a mano a mano che egli procede.
La clinica, ossia l’anamnesi e l’esame clinico del paziente riveste ancora una fondamentale importanza nell’orientare le indagini neuroradiologiche e fisiologiche. La diagnosi deriva quindi dall’esame dei sintomi e della loro evoluzione. Bisogna per questo conoscere le manifestazioni fondamentali della sofferenza nervosa.
Per le patologie encefaliche, quattro sono le manifestazioni fondamentali: ipertensione endocranica, epilessia, paralisi e disturbi cognitivi comportamentali. La più tipica delle manifestazioni è la sindrome da ipertensione endocranica. Induce cefalea, vomito e diplopia. La cefalea è il sintomo più frequente ed immediato. Le cause principali sono tre: 1) una massa in espansione, quali un ematoma o un tumore 2) l’edema, o rigonfiamento cerebrale per trauma, tumore, o per eventi ischemici, e 3) l’idrocefalo. L’edema è espressione della reattività cerebrale al danno. L’idrocefalo indica un accumulo di liquor nei ventricoli cerebrali per blocco delle normali vie di deflusso (nella figura un tumore con edema cerebrale, che determina ipertensione endocranica).
L’epilessia indica una sofferenza corticale. Quando si manifesti in tarda età, è altamente evocativa di una lesione intracranica. Può essere generalizzata con perdita di coscienza e movimenti bruschi di flesso-estensione agli arti (scosse tonico-cloniche), o “parziale” senza perdita iniziale di coscienza e limitata ad una sola parte del corpo, solitamente un arto o la bocca. Specie le forme parziali vanno indagate a fondo.
Le paralisi che interessino una metà del corpo (emisoma) possono esprimere una malattia neurochirurgica, un infarto ischemico o una malattia degenerativa. Il modo più semplice per una verifica clinica del deficit è quello di chiedere al paziente di sostenere le braccia in avanti ad occhi chiusi; l’arto dal lato interessato tende ad abbassarsi.
I disturbi cognitivi comportamentali, a parte la riduzione della vigilanza o il coma nelle sue varie fasi, si manifestano soprattutto con un rallentamento ideo-motorio. Sono sintomi spesso subdoli e pongono problemi di diagnosi differenziale, specie con le lesioni vascolari e degenerative.
Tipicamente le lesioni della colonna vertebrale si manifestano con dolore “metamerico, limitato ad un segmento corporeo (es. la parte di un arto come per la sciatica) per irritazione della radice nervosa corrispondente. Se il midollo è schiacciato o compresso per lesioni estrinseche o intrinseche, il segno fondamentale è il deficit della forza e della sensibilità. La tetraplegia o tetraparesi e la paraplegia o paraparesi indicano rispettivamente una paralisi completa o parziale ai quattro arti e agli arti inferiori.
Anche in questo caso predominano i disturbi sensitivi e motori, con in più le ipotrofie. Pertanto paralisi limitate, per esempio di alcune dita della mano, devono far sospettare una lesione del sistema nervoso periferico.
La diagnosi clinica deve essere confermata dalla dimostrazione della lesione e dei suoi effetti, morfologici o funzionali ed elettrofisiologici. La visione della lesione e dei suoi effetti è ottenibile con le indagini neuroradiologiche. Prima degli anni ’80 le indagini praticate erano l’angiografia, la ventricolografia e la mielografia.
L’angiografia è ancora molto praticata, ma con metodiche nuove rispetto al passato, ossia angio TC ed Angio RM. Serve per lo studio dei vasi, visualizzandone con precisione millimetrica i dettagli morfologici. L’angiografia tradizionale per alcune procedure è tuttora insostituibile. Consiste nell’iniezione di un mezzo di contrasto iodato nell’arteria carotide o vertebrale, selettivamente cannulata risalendo l’albero vascolare dalla femorale. Negli ultimi due decenni hanno assunto rilevanza le tecniche di terapia endovascolare, per riparare eventuali danni della parete vasale (aneurismi o malformazioni vascolari) o per dilatare tratti stenotici. In questo caso si risale l’albero vascolare con microcateteri per raggiungere i vasi cerebrali principali, e depositare materiale embolizzante (microcoils, palloncini, colle o materiale inerte) nel vaso danneggiato, o viceversa per dilatare vasi ristretti con l’ausilio di un palloncino. I moderni apparecchi angiografici mostrano in “diretta” (scopia) le manovre del radiologo eliminando “le ombre” ossee con la registrazione cinematografica dell’esame.
L’angio-TC e l’angio-RM sono tecniche molto meno invasive e rivelano ugualmente i dettagli del circolo arterioso e venoso, focalizzando quando richiesto intorno alla lesione non necessariamente vascolare, per esempio intorno ad un tumore o su di un’arteria o vena nel pianificare l’approccio chirurgico. L’angio TC richiede quasi sempre il mezzo di contrasto, non così per l’angio-RM.
La ventricolografia viene oramai poco usata, e consiste nell’ iniezione di aria o di mezzo di contrasto iodato nei ventricoli, per verificarne il contorno, il volume e le vie di deflusso. Anche la mielografia si basa sull’iniezione di materiale di contrasto. In questo caso del materiale di contrasto iodato viene iniettato nel sacco durale mediante puntura lombare e talora cervicale. Il contrasto si deposita intorno al midollo spinale ed alle radici nervose rivelandone i contorni e quindi dimostrando eventuali distorsioni/compressioni. Ormai è usata in raramente.
La Tomografia Computerizzata del Cranio (TC) e la Risonanza Magnetica Nucleare rappresentano ormai gli esami di routine per la diagnosi. La TC è basata sui raggi X, rifratti, dal tessuto che attraversano. L’indice di rifrazione, espresso in unità Hounsfield, viene analizzato dal computer che “disegna” la morfologia del tessuto attraversato, in “fette” di spessore variabile ma sempre perfettamente sovrapponibili. La risoluzione supera i 0,5 mm e sono possibili ricostruzioni tridimensionali.
La RM come la TC esamina il contesto tissutale normale e patologico, ma non utilizza alcun tipo di radiazione. Rileva invece la distorsione tissutale di un segnale elettromagnetico polarizzato. E’ possibile quindi la ricostruzione morfologica di qualsiasi parte del sistema nervoso, secondo qualsiasi piano ed in 3D. L’angio-RM serve per la visualizzazione in Risonanza dei vasi sanguigni, rilevando eventuali anomalie.
Anche gli ultrasuoni vengono impiegate per la diagnostica neurochirurgica. L’esame doppler-sonografico, permette lo studio transcutaneo dei vasi del collo, e più recentemente anche dei vasi cranici, rilevando l’aspetto morfologico del lume (e delle pareti) vasali e le caratteristiche del flusso sanguigno. Poiché non richiede manipolazioni cruente (non è “invasivo”), viene usato per la diagnosi iniziale e per il follow-up delle malattie vascolari.
A parte devono essere considerate le indagini neurofisiologiche, che misurano la reattività e la conduttività elettrica attraverso il tessuto nervoso. Hanno un significato prettamente funzionale, oggettivando le condizioni di sofferenza spesso rilevabili anche clinicamente. Primo tra tutti l’eletroencefalogramma, che registra e saggia il pattern elettrico cerebrale, soprattutto in rapporto all’epilessia, ma anche a scopo di monitoraggio durante alcuni tipi di intervento chirurgico o durante il coma farmacologicamente indotto. I potenziali evocati (somatosensitivi, visivi, uditivi, motori) servono invece a saggiare la conducibilità elettrica del tessuto nervoso, sia verso la corteccia, sia verso i muscoli. La conducibilità elettrica è infatti depressa in caso di lesioni vascolari, tumorali o traumatiche.
L’elettromiografia registra l’attività elettrica dei muscoli in condizione di riposo e di contrazione volontaria o provocata. La velocità di conduzione e l’ampiezza dell’onda di conduzione di un nervo ne misurano le capacità conduttive, depresse in caso di schiacciamento o comunque di sofferenza delle fibre.
Le tecniche chirurgiche moderne si basano sul rispetto massimo del tessuto nervoso. Per realizzare questo scopo sono necessari strumenti sofisticati, sia per l’accesso, sia per la manipolazione chirurgica. L’accesso viene studiato in base alle caratteristiche della lesione ed alla sua localizzazione rilevabili con la TC e la RM. Per le lesioni vascolari e per taluni tumori risulta indispensabile anche la conoscenza della struttura vasale normale e patologica.
Normalmente l’esperienza e la perizia del chirurgo permettono di localizzare e trattare la lesione con minimo danno del tessuto sano. Sono state sviluppate a questo proposito tecniche chirurgiche attraverso la base cranica il cui scopo è quello di retrarre il cervello il meno possibile e giungere all’area di interesse attraverso la via più breve. L’uso del neuroendoscopio agevola fortemente questo proposito. In aree cerebrali particolarmente critiche (area motoria o del linguaggio) è necessario un monitoraggio clinico e soprattutto elettrofisiologico, per delimitare i confini chirurgici. Col paziente spesso sveglio o risvegliabile si stimola l’area di interesse, localizzando la zona corticale che controlla la funzione da salvare.
La localizzazione di lesioni profonde, non rilevabili sulla superficie cerebrale è oggi resa possibile o mediante calcoli stereotassici, o, recentemente attraverso sistemi computerizzati di “neuronavigazione”. Il loro funzionamento si basa su sistemi di rilievo topografici che in riferimento ad una ricostruzione computerizzata del cervello del paziente, determinano in tempo reale la posizione degli strumenti chirurgici o addirittura orientano il microscopio.
Riguardo alla patologia vertebrale, la malattia più comune è l’ernia del disco lombare. Per casi più complessi sono necessarie strumentazioni e competenze specifiche in rapporto ad implicazioni meccaniche ed all’estrema vulnerabilità del midollo cervicale e toracico. L’approccio deve essere ottimale, spesso anteriore o laterale attraverso il collo, talora attraverso il torace o l’addome. Vari tipi di materiali leggeri e resistenti permettono la sostituzione di vertebre lese o la stabilizzazione quando compaiano segni di cedimento meccanico.
La neurochirurgia funzionale si avvale massimamente delle metodiche elettrofisiologiche di localizzazione e di monitoraggio. Ciò si applica specialmente alla chirurgia dell’epilessia e dei disordini motori, ma anche alla chirurgia del dolore.
La biopsia stereotassica viene usata quando si ritenga che l’approccio chirurgico diretto non rappresenti la migliore opzione, specie in vista di un trattamento conservativo medico o radioterapico. Non deve essere usata in caso di lesioni vascolari.
La radiochirurgia rappresenta un’evoluzione della radioterapia e si basa sulla concentrazione di elevatissime dosi di energia radiante su bersagli calcolati con estrema precisione. Viene impiegata per necrotizzare o rallentare la crescita dei tumori, spesso dopo la chirurgia tradizionale, per alcuni tipi di malformazioni vascolari, o talora sui tessuti “normali” a scopo terapeutico. Due sono gli apparecchi più usati a questo scopo: la “gamma knife” che utilizza l’energia radiante del cobalto, e l’acceleratore lineare, che genera raggi X nel tessuto bombardato. A questi bisogna aggiungere il Cyber-knife, che utilizza comunque energia radiante mirata in tempo reale, ossia compensando per i movimenti respiratori o del paziente durante il trattamento. Più raramente viene usata l’energia protonica. Per il controllo della crescita tumorale è possibile l’impianto diretto di radioisotopi nel contesto della lesione.
La radiologia interventistica si avvale invece dell’uso di cateteri supersottili, per raggiungere sotto controllo radiologico (scopico) i vasi cerebrali sede di malformazioni o tumori e chiuderli, oppure eventuali dilatazioni aneurismatiche al fine di escluderle dal circolo, o infine trattare restringimenti patologici (angioplastica).
Tipo | % | Età |
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Gliomi (50% del totale così divisi) | ||
Astrocitoma 1-2 | 30% | 30-40 |
GBM e astr. anaplastico | 55% | 50-60 |
Astr. Pilocitico emisferi cerebrali | 3% | 10-30 |
Oligodendroglioma | 5% | 30-50 |
Ependimoma | 2,5 | 0-30 |
Cisti colloidi | 0,8% | 20-50 |
Altri tumori | ||
Meningiomi | 15% | 20-60 |
Adenomi ipofisari | 10% | 30-40 |
Neurinomi dell’acustico | 8% | 35-55 |
Craniofaringioma | 1,8% | 10-20 |
Dermoidi ed epidermoidi | 1% | 10-50 |
Sono di difficile trattamento, ma hanno beneficiato massimamente dell’evoluzione tecnica. La stenosi della carotide al collo è la malattia più frequente, ma è per lo più trattata con antiaggreganti (es. aspirina). L’emorragia sub-aracnoidea da rottura di aneurisma è invece la patologia più classica e pericolosa. E’ dovuta allo sfiancamento della parete di un vaso cerebrale per debolezza congenita o raramente per altre cause. La parete cedevole si gonfia a “palloncino”, l’aneurisma, si rompe, e sanguina intorno al cervello, appunto negli spazi sub-aracnoidei (Fig. 6 a). L’incidenza è di circa 15-20 casi/anno per 100.000 abitanti. Si manifesta con cefalea violentissima ed improvvisa alla nuca che si può accompagnare, a seconda dell’entità dell’emorragia, ad alterazioni della coscienza. La cefalea da sola rivela in genere sanguinamenti minimi, che però nel tempo tendono a ripetersi in modo più drammatico. Il sangue sub-aracnoideo, in rapporto all’entità del sanguinamento, comporta due gravi complicazioni: idrocefalo e vasospasmo. Il vasospasmo, restringimento spastico dei vasi cerebrali è molto frequente, si manifesta dopo il 3° giorno e non va oltre il 21° dall’emorragia, ed aggrava marcatamente le condizioni neurologiche con un eventuale alterazione della coscienza, deficit del linguaggio e della motilità.
I pazienti in buone condizioni, solitamente vengono operati nei primi tre giorni, prima che insorga il vasospasmo o intervenga un nuovo sanguinamento. L’intervento consiste nell’esposizione dell’aneurisma con clippaggio del colletto, così da escluderlo dal circolo normale (Fig. 6 b). I pazienti in condizioni gravi non sono suscettibili di trattamento immediato, tranne che in caso di idrocefalo o ematoma intracerebrale di cospicue dimensioni.
La chiusura dell’aneurisma può essere anche effettuata per via endovascolare (attraverso i vasi sanguigni) dal neuroradiologo. Questa metodica, detta di embolizzazione percutanea, è possibile grazie all’uso di “microspirali”, fili sottilissimi che vengono depositati e si aggomitolano nel lume aneurismatico provocandone la chiusura. Benché non sia senza rischi, ha il vantaggio di non “irritare” un cervello già molto suscettibile (vedi Neuroradiologia).
Altre lesioni vascolari “importanti” sono le malformazioni artero-venose (MAV), in cui vasi anomali, presenti dalla nascita, si organizzano a formare un gomitolo vascolare.Esso altera la funzionalità dei centri nervosi circostanti per sottrazione di sangue ed è suscettibile di rottura. La malformazione può essere microscopica tanto da sfuggire alle indagini radiologiche (malformazioni criptiche) o occupare un intero emisfero. Il trattamento chirurgico consiste nella resezione della massa e nella chiusura dei vasi anomali. L’intervento diventa estremamente difficile nelle lesioni di maggior volume in cui bisogna considerare anche fattori emodinamici ad evitare un danno cerebrale acuto “da iperafflusso” post-operatorio. In questi casi si preferisce un trattamento polimodale, associando embolizzazione, radioterapia convenzionale e stereotassica e chirurgia tradizionale. Lo scopo è quello di ridurre progressivamente il flusso ematico chiudendo le afferenti maggiori.
Nel gruppo delle MAV si colloca il “cavernoma”, di dimensioni modeste (raramente superiore a 2-3 cm) a basso flusso ematico, che ugualmente si manifesta con epilessia o sanguinamenti improvvisi, ma non è mai associato a deterioramento cerebrale. Viene di solito trattato per approccio chirurgico diretto.
Le lesioni dellacolonna vertebrale e delle strutture nervose ad essa associate costituiscono una quota cospicua deiL’ernia del disco che preme sulla radice nervosa pazienti neurochirurgici. L’ernia del disco lombare è senz’altro la patologia più comune. Il disco interposto tra le vertebre contigue supera i suoi limiti naturali e comprime la radice nervosa nel punto di emergenza dal sacco durale. Si tratta quasi sempre della radice L5 o S1 (L= lombare; S= sacrale), compresse rispettivamente dal disco L4-L5 e dal disco L5-S1. Ne risulta una sciatica, con dolore che si irradia lungo la superficie posteriore della coscia, sul dorso del piede verso l’alluce nel caso di ernia L4-L5 (radice L5) o verso la pianta nel caso di ernia L5-S1 (radice S1). Il dolore è accentuato dai movimenti, soprattutto dalla flessione della colonna, e si giova usualmente del riposo e della terapia anti-infiammatoria ed antidolorifica. Nei casi più gravi si osserva alterazione dei riflessi, e solo in casi estremi, con grave sofferenza della radice, si osserva paralisi del piede e ritenzione urinaria.
Il trattamento è chirurgico in presenza di deficit motori o sfinterici e nei casi ribelli alla terapia medica e fisioterapica. La ferita chirurgica è solitamente di piccole dimensioni e la ripresa funzionale piuttosto rapida. Negli ultimi anni si sono diffuse alcune metodiche percutanee, tra cui la nucleoaspirazione. Questa è indicata nel caso di ernie piccole e contenute, quelle stesse in cui risultano efficaci la terapia anti-infiammatoria ed il riposo.
Altre volte, specie nei soggetti anziani con deformazioni artrosiche della colonna vertebrale, sono le alterazioni ossee che intrappolano le radici nervose, producendo un quadro di “stenosi” ossia restringimento, con dolore e debolezza muscolare. In questo caso, è necessario un intervento di “allargamento” del canale osseo, per ridare spazio alle radici compresse.
A parte va considerata l’instabilità vertebrale, una patologia emergente, in cui l’allineamento e la mobilità delle vertebre si altera, specie a livello lombare, producendo dolore. La terapia è soprattutto fisiochinesiterapica per rinforzare ossa, muscoli e legamenti, ma nei casi resistenti è necessaria la terapia chirurgica per bloccare, mediante protesi al titanio o similari, le vertebre instabili (Fig. 7 a).
Molto più raramente si osservano ernie lombari alte o toraciche. L’incidenza di ernie sale a livello cervicale, ma qui il meccanismo di produzione e gli effetti clinici assumono un significato diverso. Spesso si tratta di ernie “dure”, in cui le deformazioni ossee del margine discale, (osteofiti), comprimono le radici cervicali, producendo dolore lungo il braccio e deficit motori, che possono estendersi agli arti inferiori. Questa apparente incongruenza si spiega con la compressione sul midollo cervicale dove transitano le fibre per gli arti inferiori. I livelli più interessati sono C4-C5 e C5-C6 (C= cervicale).
La terapia conservativa è efficace per sintomi limitati ed in regressione, ma quando i sintomi persistono l’intervento diventa inevitabile. Esso viene eseguito “per via anteriore”, tra il muscolo sterno cleido mastoideo ed i muscoli faringei, così da esporre la superficie vertebrale anteriore, svuotare il disco e rimuovere l’osteofita. Le vertebre possono essere poi bloccate con l’interposizione di un tassello osse o con una protesi (carbonio o titanio).
La spondilosi cervicale è analoga alla stenosi lombare poiché le deformazioni ossee riducono il canale vertebrale schiacciando il midollo spinale. Ciò comporta una sofferenza delle cellule e delle fibre nervose, specie quelle dirette agli arti inferiori, in un contesto clinico peculiare in cui si associano deficit degli arti superiori ed inferiori, oltre che disturbi sensitivi. Il deficit degli arti inferiori è spesso preminente con iperreattività riflessa e rigidità “spastica” dei muscoli (paraparesi spastica). Il trattamento in questo caso è chirurgico.
Questa patologia ha acquistato rilevanza con la motorizzazione generalizzata. Spesso coinvolge individui giovani. La tempestività del trattamento è fondamentale ed i risultati riflettono l’efficienza del soccorso sul territorio e la disponibilità di strutture rianimatorie adeguate alla gestione del politraumatizzato.
Nel trauma cranico si osservano due tipi fondamentali di lesione, spesso associate: lo scuotimento encefalico (lesione assonale diffusa), e le lesioni emorragiche (ematomi) intracranici. Lo stato di gravità viene indicato dalla scala di Glasgow (Glasgow Coma Score) tra 3 e 15; il punteggio più alto indica la normalità. Al di sotto del limite di normalità il cervello “soffre”, spesso per ipertensione endocranica. Il coma (GCS 7-8) può essere dovuto ad un “ematoma”, o ad una lesione assonale diffusa, con o senza lacero-contusione cerebrale.
Gli ematomi sono di 3 tipi fondamentali: a) intracerebrale, nel contesto del tessuto cerebrale (parenchima), b) subdurale acuto, immediatamente sopra il cervello, sotto la dura madre, ed 3) epidurale, tra dura madre ed osso (Fig. 8). Essi vanno evacuati, specie se la massa encefalica viene dislocata verso un lato e verso il basso, (ernie cerebrali interne), e comprime il tronco cerebrale, sede di importanti funzioni vitali. Questa condizione, pericolosa per la sopravvivenza, è svelata dall’asimmetria del diametro pupillare (anisocoria), o, peggio, dalla midriasi bilaterale. L’ematoma subdurale subacuto e cronico dell’anziano è un’entità diversa dal punto di vista prognostico e terapeutico, perché si produce per effetto di traumi minori e non ha effetti così drammatici dal punto di vista clinico.
Nel traumatizzato vertebrale bisogna considerare la possibilità di fratture-dislocazioni delle vertebre, con pressione sul midollo spinale e sulle sue radici tale da determinare paralisi completa (plegia) o parziale (paresi) agli arti e perdita del controllo sfinterico urinario e fecale. Particolarmente pericolose sono le fratture della colonna cervicale poiché possono causare plegia o paresi dei 4 arti (tetraplegia o tetraparesi) ed arresto respiratorio (nel midollo spinale cervicale a livello della seconda e terza vertebra c’è il centro di controllo del movimento diaframmatico). Fratture toraciche possono provocare deficit motori agli arti inferiori (paraplegia e paraparesi). I traumi della colonna lombare e sacrale sono in genere meno gravi, ma anche in questo caso è possibile il quadro di paraparesi (flaccida) con disturbi sfinterici. Il trattamento si basa sulla decompressione del midollo, l’allineamento e la stabilizzazione del rachide per impedire un danno ulteriore e favorire la ripresa delle funzioni residue.
Meritano menzione gli ascessi cerebrali, che si producono in conseguenza di infezioni otogene, ferite penetranti o di valvulopatia cardiaca. Devono essere di regola aspirati e trattati per lungo tempo con antibiotici. Nei paesi sottosviluppati, e meno nelle società civilizzate, si osservano alcune parassitosi, tra le quali la cisticercosi e l’echinococcosi. Una patologia emergente è rappresentata dalla toxoplasmosi in corso di AIDS.
Quasi sempre sono di natura “disrafica” per un difetto di chiusura mediano del “tubo neurale”, da cui origina encefalo e midollo spinale. Si manifestano alla nascita o durante la prima infanzia e spesso sono rilevabili durante la vita intrauterina con l’ecografia, che visualizza la malformazione, o l’idrocefalo, la manifestazione più comune. A livello del cranio può succedere che una quantità più o meno cospicua di tessuto cerebrale sporga attraverso una breccia ossea (encefalocele). E’ possibile una riparazione chirurgica, tranne che in casi estremi.
A livello della colonna vertebrale si parla di “spina bifida” per mancata chiusura delle ultime vertebre lombari e delle vertebre sacrali, e, più raramente cervicali. Può succedere che il midollo spinale malformato (mieloschisi) sia adeso al sacco durale, dilatato, e sporga oltre il limite cutaneo (mielomeningocele) (Fig. 9). Talora lo sviluppo del midollo è completo e l’anomalia riguarda solo il sacco durale dilatato a formare un meningocele, comunque visibile sul piano cutaneo.
La spina bifida “occulta” comporta alterazioni cutanee sfumate ma riconoscibili, (ciuffetti di peli, rilievi o fossette cutanee) e spesso indicativi di una sofferenza del midollo, “stirato” in basso da aderenze anomale. Il bambino, apparentemente normale nei primi anni di vita, sviluppa col tempo disturbi sfinterici e della deambulazione. Tra le manifestazioni disrafiche “occulte” rientra anche la diastasomielia, ossia la sepimentazione del midollo spinale in due metà simmetriche, anche in questo caso con “stiramento”.
L’idrocefalo è la manifestazione più comune della patologia malformativa e consiste in un accumulo di liquor nei ventricoli cerebrali, con aumento dei diametri cranici. Ciò compromette lo sviluppo encefalico con possibile ritardo psichico e motorio.
Le malformazioni vascolari, benché quasi sempre congenite, vengono solitamente considerate a parte, ad eccezione dell’aneurisma della vena di Galeno, che si manifesta nei primi anni di vita. Si tratta di una dilatazione “aneurismatica” che causa emorragia, idrocefalo o insufficienza cardiaca.
Sono molto rari, 2 casi/100.000 bambini/anno. I più comuni sono l’astrocitoma e quelli neuroectodermici (PNET) tra cui spicca il medulloblastoma. Altri tumori comuni sono il craniofaringioma, l’ependimoma, il germinoma, il glioma del tronco. Per l’astrocitoma, specie in forma cistica, si osservano lunghe sopravvivenze. Il medulloblastoma è altamente radiosensibile.
Molti pionieri della neurochirurgia avevano sognato di correggere le disfunzioni del sistema nervoso chirurgicamente. La psicochirurgia per la cura degli ammalati schizofrenici esprimeva questa tendenza, ma è stata in gran parte abbandonata dopo la scoperta dei farmaci antipsicotici. L’ambito di interesse attuale concerne invece i disordini del movimento, l’epilessia ed il dolore.
Il disturbo motorio tipicamente suscettibile di trattamento chirurgico è il morbo di Parkinson, una malattia caratterizzata da tremore e difficoltà del movimento per mancanza di dopamina, un mediatore chimico. L’intervento viene fatto per via stereotassica, centrando con estrema precisione il nucleo talamico, che, “liberato” dal controllo dopaminergico, genera il tremore tipico della malattia. L’abolizione del tremore è immediata e duratura, ma altre manifestazioni della malattia, quali la rigidità, sono meno influenzate. Più di recente si è sviluppata la tecnica di impianto stereotassico di cellule, anche di origine embrionaria, in grado di produrre dopamina, ma con risultati incostanti e di stimolatori elettronici profondi (impiantati per via stereotassica) che interferiscono, bloccandolo, col tremore.
Il dolore cronico, da malfunzione del sistema nervoso risponde bene al trattamento chirurgico, secondo due modalità. La prima è conservativa e consiste nell’impianto: a) di stimolatori che sopprimono o riducono l’afflusso dei segnali dolorifici; b) di cateteri per l’immissione di sostanze antalgiche direttamente nel liquor, il liquido che bagna tutto il sistema nervoso centrale. La teoria di base è quella di chiudere un ipotetico “cancello” attraverso cui i segnali algici (nocicettivi) raggiungono la coscienza perturbando la vita emotiva. La seconda è demolitiva, perché si propone la distruzione delle vie e dei centri che permettono il passaggio dell’impulso doloroso, o addirittura generano essi stessi segnali dolorosi. La DREZ è una di queste tecniche chirurgiche, specialmente efficace per le avulsioni del plesso brachiale, la sindrome dell’arto fantasma, il dolore dell’arto desensibilizzato nei paraplegici, e per alcune forme di dolore facciale atipico.
L’epilessia è una sindrome caratterizzata dal “sequestro” funzionale del cervello, per diffusione di un’onda elettrica anomala. Il “focus” da cui origina l’onda anomala è spesso identificale sulla corteccia temporale o nell’amigdala ed è rimovibile chirurgicamente.
Anche i nervi sono suscettibili di trattamento chirurgico, sia per lesioni traumatiche, anche di tipo professionale, sia per lesioni neoplastiche. E’ intuibile che i nervi più esposti sono quelli degli arti, e come un eventuale danno può essere devastante, perché spesso provoca paralisi e perdita della sensibilità (ipoestesia e anestesia). I principali tronchi nervosi dell’arto superiore sono : 1) il radiale per i movimenti di flessione e rotazione del braccio, ed estensione della mano, delle dita e del pollice; 2) l’ulnare per i movimenti di divaricazione ed avvicinamento delle dita e di flessione della mano e delle dita; 3) il mediano, per la sensibilità della parte centrale della mano e delle prime tre dita e per i movimenti del pollice verso il mignolo. L’ulnare e soprattutto il mediano sono specialmente soggetti ad “intrappolamento” al gomito il primo, nel tunnel carpale il secondo. L’intervento consiste nell’apertura del “tunnel” in cui sono strozzati, quasi sempre in anestesia locale. Invece i principali tronchi dell’arto inferiore sono il nervo sciatico ed il femorale, il primo principalmente deputato alla motilità del piede ed alla sensibilità della parte postero-laterale della gamba; il secondo rende possibile i movimenti della gamba e raccoglie la sensibilità anteriore della coscia. Si noti che la “sciatica” ossia dolore sciatico, è spesso dovuta ad un’ernia del disco lombare comprimente le radici del nervo, più che ad una sofferenza del nervo di per sé.
I neurinomi ed i fibromi sono tipici tumori dei tronchi nervosi, che si manifestano con dolore “elettrico” lungo il nervo, da cui vanno dissociati e rimossi. Fortunatamente il tumore può essere quasi sempre asportato senza danneggiare il nervo da cui origina (neurolisi).
I nervi danneggiati possono essere riparati poiché le fibre, a differenza delle cellule nervose, possono ricrescere. La tecnica più comune è quella di riaccostare i fasci di fibre interrotte e di suturarli (anastomosi termino-terminale). Quando la distanza tra i monconi del nervo interrotto non ne consenta l’accostamento per la sutura, si interpongono tra i principali fasci di fibre uno o più segmenti di un piccolo nervo sensitivo, prelevato dallo stesso paziente (autoinnesto). Le speranze di recupero, almeno parziale, sono buone.
Come per ogni campo dello scibile umano, l’introduzione del computer e delle metodiche ad esso correlate apre prospettive inimmaginabili per il monitoraggio e la verifica passo passo delle strutture aggredite. Ancora la terapia genica potrebbe arrivare un giorno al controllo del genoma tumorale impazzito e da quel momento molte operazioni potrebbero diventare inutili.
Tra questi due estremi tecnologici si inseriscono le tecniche di miglioramento della radioterapia e della navigazione endovascolare, per il trattamento sempre più selettivo ed efficace del tessuto tumorale o delle malformazioni vascolari. Vanno a questo proposito segnalate la ricerca di sostanze sensibilizzanti selettivamente il tessuto neoplastico e lo sviluppo di nuovi cateteri e di nuovi materiali embolizzanti per dilatare o chiudere i vasi alterati o patologici. Già adesso è possibile “guardare” nel vaso che viene embolizzato.
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