Quel fastidioso mal di schiena.
se lo portava dietro da molti anni, dapprima lieve ed occasionale. Se ne accorgeva dopo qualche sforzo, come una partitella tra amici. Poi era diventato più insistente e non bastava la pomata, nè i cerotti medicati. Funzionava meglio una bustina di antidolorifico, ma appena portava la busta della spesa o restava in piedi per più di qualche ora, quel tormento cominciava. Prendeva il fondo schiena e la parte alta dei glutei, lo irrigidiva ed assorbiva tutti i suoi pensieri.
Le indagini diagnostiche
Dapprima le radiografie, poi la TC evidenziavano uno scivolamento vertebrale tra di L5 su S1, detto spondilolistesi, per spondilolisi, ossia rottura dell’istmo articolare, del “blocco” che impedisce lo scivolamento reciproco delle vertebre. La Risonanza Magnetica, più efficace nel mostrare i tessuti nervosi rispetto alla TC, mostrava la deformazione del sacco durale, dove passano le radici nervose.
La scelta terapeutica
Le cure, la riabilitazione il nuoto ed i consigli del fratello medico non gli apportavano che beneficio temporaneo. Si era deciso perciò ad affrontare un piano terapeutico più drastico. Non tutti, nemmeno tra i familiari, erano d’accordo. Ciò rifletteva l’opinione degli specialisti consultati, ma il dolore era tanto e la qualità di vita, ossia la libertà di muoversi, ridotta. D’altro canto appariva logico che se c’era qualcosa di anormalmente mobile (le vertebre tra di loro) esso dovesse in qualche modo essere “fissato”. A questo proposito, nell’ultimo ventennio si ricorre sempre più spesso a barre e viti di titanio, che però usualmente comportano un intervento piuttosto lungo, con un’ampia ferita. In alternativa, negli ultimi anni, era stato messo in commercio un sistema, detto Pathfinder®, impiantabile per via percutanea, e quindi con una ferita molto più piccola e tempi didegenza marcatamente più corti. Le immagini qui di seguito illustrano i tempi dell’intervento.
L’intervento ed il seguito
Fu scelto l’intervento percutaneo in modo da “stabilizzare” quel tratto della colonna che aveva perso la sua solidità strutturale con lo scivolamento di una vertebra sull’altra. Questo fatto metteva in tensione i legamenti e le strutture circostanti provocando dolore.
Per via percutanea quindi e sotto si inserirono le viti in titanio nei corpi vertebrali attraverso due piccole aperture cutanee, controllandone i l decorso con la radioscopia. Fu poi passata una barra tra le viti, sempre in titanio, a destra ed a sinistra, in modo da bloccare lo scivolamento vertebrale.
Allora era uno dei primi interventi di questo tipo. A distanza di quasi venti anni il paziente continua la sua vita lavorativa, senza problemi. Particolare non trascurabile, il titanio non interferisce che un eventuale risonanza magnetica, qualora ce ne fosse la necessità.