Sintomi dell’infiammazione trigeminale: una storia vera
La signora RR di 88 anni, di Treviso aveva cominciato ad avvertire molti anni prima dei sintomi strani ed inquietanti: un dolore nella parte media del viso, verso il labbro superiore, che la bloccava nel bel mezzo di un boccone o le interrompeva bruscamente un discorso. Un dolore fulminante, che si affacciava varie volte nella giornata, come un improvviso mal di denti, e le bloccava il viso in un’espressione sgomenta. Per questi sintomi era stata dal dentista che le aveva curato più di un dente asportandole un molare. Per qualche giorno era stata meglio; ma poi il dolore si era riaffacciato improvviso e violento. Aveva implorato il dentista di levarle ancora altri denti, ed aveva guardato delusa il suo diniego: forse era meglio che si facesse vedere da un neurologo. Aveva provato anche con l’agopuntura, ma il giovamento era stato lieve e di breve durata.
L’evoluzione
Le sembrava di impazzire, qualcuno dei suoi familiari dubitava della sua salute mentale, specie quando nel bel mezzo di un discorso s’ interrompeva portandosi una mano alla guancia ed il suo viso si contorceva in una smorfia. Il neurologo finalmente le diede un poco di speranza: si trattava di nevralgia trigeminale e poteva essere curata con dei farmaci specifici. Le fu prescritto del Tegretol, 200 mg 3 volte al giorno e come per incanto il dolore scomparve.
La decisione chirurgica
L’illusione durò qualche mese; poi, come un incubo, il dolore ed i sintomi del trigemino si riaffacciarono. Fu aumentata la dose dei farmaci: Tegretol 400 mg, 3 volte al giorno. La signora si sentiva sbandare, a tratti si sentiva confusa e sonnolenta, ma almeno quel dolore terribile era scomparso di nuovo. Qualche tempo dopo, visto che il dolore si era sopito, il medico le consigliò di ridurre progressivamente la dose di Tegretol; cosa che la paziente fece. Passarono così vari anni, tra alti e bassi e con la paura costante che il dolore improvvisamente ritornasse. E ciò regolarmente accadeva: bastava un colpo di freddo, a volte un pò di stanchezza, altre volte senza motivo apparente e nonostante tutte le precauzioni. Poi la situazione peggiorò: negli ultimi giorni di quell’anno ed a dispetto di ogni precauzione, il dolore ritornò e si rifece insistente, non le dava tregua in nessun momento della giornata. Invano il Tegretol fu aumentato, fu aggiunto del Neurontin e si provò anche col Lamictal, ma oramai era un tormento ed il dolore si estendeva intorno e sopra all’occhio. Per giunta gli ultimi esami ematici dimostravano una lieve alterazione epaticaper gli effetti collaterali di tanti farmaci. A questo punto si rivolse al neurochirurgo.
L’intervento
Ne aveva sentito parlare varie volte, ma il suo medico curante era scettico e la spaventava l’idea di dover affrontare la chirurgia per la prima volta nella sua vita ad 88 anni. Per giunta il suo neurologo le aveva detto che avrebbe perduto la sensibilità di parte del suo viso. Ebbe vari colloqui col neurochirurgo, ma alla fine si decise per l’intervento, nonostante la necessità di spostarsi in una città diversa dalla sua. Si sentiva rassicurata dalla possibilità di fare l’intervento in anestesia strettamente locale, e cioè da “sveglia” e dalla possibilità di preservare la sensibilità facciale con una lesione “mirata” e “graduata”.
L’intervento venne infatti eseguito nel mese d’ aprile. La signora fu stata dimessa il giorno successivo all’intervento senza dolore e senza sintomi residui. Poteva finalmente mangiare e parlare in libertà !
Il seguito
La signora ha raccontato nel corso di una recente telefonata che i sintomi sono scomparsi e lei non ha più dolore. Ha ripreso la sua vita quotidiana da subito, e non prende più medicine. La figlia ha aggiunto che la mamma ancora racconta alle amiche di quando si è adagiata timorosa sul lettino operatorio, con i fili del monitoraggio elettrocardiografico e di come alla fine, quando è stata invitata a spostarsi sulla barella per essere riportata nel suo letto, abbia chiesto: “Ma allora l’intervento non me lo finite ?”, per realizzare subito dopo, che l’intervento, consistente fondamentalmente nell’infissione in anestesia locale di un ago sottile sul nervo alla base del cranio (il ganglio di Gasser), era già stato portato a termine.